domenica 15 ottobre 2023

LA GUERRA DISUMANA

Francesca Mannocchi (La Stampa del 15/10/2023)

                              

Lunedì scorso, durante una conferenza stampa a Tel Aviv, il presidente israeliano Isaac Herzog, in risposta ai giornalisti che lo incalzavano sulla situazione umanitaria dei civili a Gaza ha detto: «Non è vera la retorica secondo cui i civili non sono consapevoli e coinvolti. Avrebbero potuto ribellarsi, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio che ha preso il controllo di Gaza».

Come a dire che è saltata la distinzione tra popolazione civile e Hamas. Che si è compiuta ormai completamente la sovrapposizione tra i civili e i combattenti. Che le azioni efferate di Hamas, quindi, possono per questo consentire una punizione collettiva.

Nella sovrapposizione tra miliziani e abitanti di Gaza, i civili palestinesi non sono considerati tutti vittime innocenti della guerra, ma rimangono in gran parte responsabili della propria morte e del proprio destino.

La settimana scorsa, durante una dichiarazione congiunta con il segretario di Stato americano Antony Blinken, il premier Benjamin Netanyahu ha detto che «Hamas deve essere schiacciato, come l'Isis››. Sulla stessa scia le dichiarazioni delle forze armate: «O stai con Israele o stai col terrorismo».

La barbarie di Hamas è sotto gli occhi di tutti: giovani trucidati, una mattanza di bambini, decine e decine di ostaggi trascinati nei tunnel della Striscia di Gaza. Lo mostrano le foto, le telecamere di sorveglianza e da ultimo gli oltraggiosi video dei miliziani che trattengono dei bambini presi in ostaggio una settimana fa. La repulsione è stata unanime ma ha allo stesso tempo rafforzato la convinzione che chiunque viva dentro Gaza sia, per questa ragione da considerare complice e dunque sacrificabile. Le vittime, non troppo collaterali, della risposta senza precedenti dell'esercito israeliano che ne ha rivendicato la natura.

Israele abbandona i bombardamenti di precisione a favore dell'entità di «danni e della distruzione». Lo ha detto il portavoce militare all'inizio delle operazioni sulla Striscia. La priorità è aumentare gli attacchi, è eliminare gli alti funzionari di Hamas.

Compito più facile se i civili sono considerati conniventi.

Sono le parole a modellare le relazioni tra le parti in conflitto, in guerra è antica la necessità di disumanizzare il nemico. Aiuta a combattere, ma anche a modificare la sensibilità e quindi le intenzioni della pubblica opinione. Aiuta a combattere ma è spesso preludio di orrore.

La disumanizzazione dei palestinesi è da anni al centro della strategia di guerra di Israele, non meno dell'impatto delle bombe: seimila quelle lanciate su Gaza in meno di una settimana, che hanno colpito 500 obiettivi, ucciso 1800 persone, tra cui 350 donne e 580 bambini.

Uccisi dai bombardamenti, uccisi dall'assedio totale.

Il linguaggio disumanizzante nega agli esseri umani tratti che sono unicamente umani, la capacità di ragionare che separa gli esseri umani dagli animali.

Due giorni fa, dopo l'ultimatum per l’evacuazione, Nebal Farkash, portavoce della Mezzaluna Rossa ha detto: «Nessuno sarà in grado di evacuare i pazienti e i feriti dagli ospedali e collegati ai dispositivi medici, è una missione impossibile». L'ordine di evacuazione, per loro, coincide con «una condanna a morte», anche secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Poche ore dopo, intervistato da Sky/News su questo punto, l'ex primo ministro Naftali Bennett ha perso le staffe. «Vergognati» ha detto al giornalista che gli chiedeva «cosa dice dei palestinesi in ospedale, dei bambini nelle incubatrici che saranno spente perché Israele ha tagliato l'energia elettrica a Gaza?››.

Bennett gli ha urlato contro: «Cos’hai che non va? Mi stai davvero chiedendo dei civili palestinesi?››. Come a dire che se la distinzione tra militari e civili è saltata, non serve più a

porsi il problema. Se Hamas è capace di tali atrocità e i palestinesi di Gaza sono complici, è più facile accettare la punizione collettiva, il numero dei morti, i bambini intrappolati sotto le macerie.

Il linguaggio disumanizzante arriva dai vertici della leadership israeliana, e non da ora. Nel

2013 Avelet Shaked, che sarebbe poi diventata ministro della Giustizia, scrisse pubblicamente che tutti i palestinesi erano «il nemico», compresi «gli anziani, le donne, tutte le città, tutti i villaggi, le proprietà e le infrastrutture», auspicando che venissero uccise anche le donne che resistevano all’occupazione così che non potessero mettere al mondo «altri piccoli serpenti».

«Questo include anche le madri dei martiri – scrisse citando l'ex consigliere di Netanyahu Uri Elitzur – che li mandano all'inferno con fiori e baci. Dovrebbero seguire i loro figli, niente sarebbe più giusto. Dovrebbero andarsene, così come le case fisiche in cui hanno allevato i serpenti. Altrimenti lì verranno allevati altri piccoli serpenti. Devono morire e le loro case dovrebbero essere

demolite in modo che non possano più supportare i terroristi».

La narrazione disumanizzante è un tratto caratteristico anche di questo governo, il più a destra della storia di Israele. Sotto questo governo Israele ha effettuato invasioni dei campi profughi palestinesi, delle città in Cisgiordania, uccidendo e ferendo decine di persone. I coloni, appoggiati e sostenuti dai membri più estremisti del governo, hanno attaccato villaggi, dato fuoco alle case dei palestinesi, distrutto i loro campi, in un clima di totale impunità.

Ne fanno parte politici come il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, considerato troppo pericoloso anche solo per arruolarsi nell’esercito israeliano, o il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich - un estremista di destra, attivista per gli insediamenti dei coloni e per l'annessione della Cisgiordania, che ha assunto la responsabilità dell’amministrazione civile del ministero della Difesa in gran parte della Cisgiordania e ha velocizzato il processo per migliaia di nuovi insediamenti. Smotrich, lo stesso che ha chiesto di spazzare via i villaggi palestinesi, che ha giustificato la segregazione nei reparti di maternità degli ospedali, che non voleva che sua moglie fosse ricoverata accanto a una donna palestinese il cui bambino «avrebbe ucciso suo figlio

tra vent'anni». Smotrich, pronto a sacrificare anche gli ostaggi, che ha chiesto all'Idf «di non prendere in considerazione la questione dei prigionieri». Come a dire che è tale e tanta l'urgenza di vendetta, che più dei dilemmi morali conta il costi quel che costi. Più facile se il nemico è visto come un «animale umano» privo di arbitrio, di diritti, di rispetto. Più facile se anche la popolazione civile viene considerata nemica.

Disumanizzare il nemico non oscura la morte, ma ne aumenta la tollerabilità, aumenta l'accettazione da parte del pubblico di quelle morti, che tutti siano «animali››, «terroristi››, che in fondo abbiano meritato la fine cui sono andati incontro. Disumanizzare rende moralmente sopportabili anche i crimini di guerra.

Il mondo è rimasto a lungo in silenzio di fronte alla causa palestinese, nonostante un'occupazione lunga più di mezzo secolo, nonostante la violenza contro i palestinesi abbia raggiunto livelli senza precedenti negli ultimi anni. Nonostante i numerosi report di organizzazioni in difesa dei diritti umani che da anni ricordano come, ai sensi del diritto internazionale, Israele attui una politica di segregazione di fatto. L’equilibrio violento retto tra Israele e Hamas su Gaza è una strategia che ha dimostrato di non funzionare. Rinchiudere milioni di persone in una gabbia non è l’antidoto alla violenza, è anzi al contrario fertilizzante della radicalizzazione. Uomini e donne abituati a ricostruire dopo ogni guerra, a rimettere insieme strade, case e scuole dopo ogni offensiva, aspettando che la successiva riduca tutto di nuovo in polvere.



Disumanizzarli ha giustificato un ciclo di violenza e sofferenza di fronte a cui il mondo è rimasto troppo a lungo in silenzio. Il tentativo di contenimento di Hamas ha consentito al gruppo di militarizzarsi e organizzare un’offensiva di tale, brutale portata.

Di fronte a questa drammatica realtà, la comunità internazionale dovrebbe fermarsi e chiedersi se la vendetta, tollerata sulla pelle dei civili resi «complici», sia l'unica risposta. O se lo sia invece considerare la sicurezza degli uni e le rivendicazioni politiche degli altri.

Punire Hamas non può significare sopportare la morte di migliaia di uomini innocenti, donne, centinaia di bambini. Che non sono complici, né bestie. Ma solo persone.


 

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