lunedì 24 febbraio 2025

Per capire Gaza ritorniamo a Primo Levi

 Carlo PIZZATI Intervista PANKAI Mishra 

(La Repubblica del 17 febbraio 2025)

 Gaza è una frattura politica e morale dalla quale non ci riprenderemo per decenni.Nonostante le molte guerre, catastrofi, crisi e sconvolgimenti politici, nulla come questo conflitto inaspritosi dopo l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023 suscita sgomento e senso d’impotenza così insostenibili.
Ecco perché, come dice lo scrittore indiano Pankaj Mishra nel saggio Il mondo dopo Gaza (Guanda), che farà discutere, per le generazioni che non hanno visto gli sconvolgimenti del Novecento esisterà sempre un prima e un dopo Gaza.

Mishra, cosa si deve fare riguardo a Gaza? Una sorta di Costa Azzurra, come promette Donald Trump?     «Sia Gaza che la Cisgiordania rischiano di subire una pulizia etnica da parte di Israele e dei suoi sostenitori. Considero l’annuncio di Donald Trump il primo passo in questa direzione. La forte opposizione internazionale al progetto di Trump si rivelerà superficiale. Di sicuro, l’idea gode di ampio sostegno in Israele: è ciò che l’estrema destra ha sempre sognato.
Gaza resterà inabitabile; Israele continuerà a bombardare e uccidere; i sopravvissuti di Gaza se ne andranno e il resto del mondo normalizzerà la pulizia etnica.
Abbiamo già normalizzato un genocidio, l’uccisione e la mutilazione di decine di migliaia di persone, la distruzione di case, uffici, ospedali, scuole e università, perché fermarsi alla pulizia etnica?»
.
Lei sostiene che il prezzo da pagare per gli intellettuali che si autocensurano quando scrivono di Israele e di Gaza è anche una forma di disprezzo di sé chediventa risentimento per ciò che l’ha causato, «una repressione che distoglie dai crescenti paradossi d’Israele».
«La facciata del sionismo liberale – l’idea che Israele sia una democrazia, seppur imperfetta, che rispetta lo stato di diritto – ha permesso a scrittori, giornalisti e intellettuali di soffocare le critiche a Israele o di demonizzarle come antisemitismo.
Le autoproclamate voci critiche del fascismo e dell’autocrazia, come Timothy Snyder e Anne Applebaum – pronti ad attaccare Putin – hanno mantenuto un attento silenzio su Netanyahu. Questi vecchi regimi di censura e autocensura sono stati distrutti dall’estrema violenza a Gaza. È evidente che il sionismo liberale non esiste. Esiste solo un progetto di pulizia etnica, sostenuto da Trump, e per i media angloamericani sarà difficile fingere il contrario».

Perché sottolinea che Primo Levi invitò, inascoltato, a spostare il baricentro dell’ebraismo fuori da Israele?
«Come molti sopravvissuti alla Shoah, Levi provava un forte legame esistenziale con Israele e, da intellettuale di sinistra italiano, ne elogiava alcuni tratti socialisti. Ma non poté giustificare la violenza e l’espansionismo israeliani, soprattutto dopo i massacri dei rifugiati in Libano del 1982. Si rese conto, come affermò Tony Judt, che Israele diventava “un male per gli ebrei”, e chiese di spostare il centro dell’ebraismo nella diaspora».
La Shoah e Gaza… ci spieghi perché ritiene che «le culture della memoria possono rivelarsi distruttive per il senso individuale di moralità e solidarietà, finendo per compromettere la democrazia e i diritti umani».
«La memoria collettiva non è la stessa cosa della memoria individuale. È sempre una costruzione deliberata, che prende spunto dai ricordi personali per servire un progetto ideologico o politico. In questo caso, il ricordo della Shoah è stato inscritto in un processo di costruzione nazionale che soffriva dellamancanza di una popolazione omogenea e di una cultura condivisa. La sua funzione era di mantenere la popolazione in una paranoia militarizzata. Se si vive con il costante terrore che i vicini siano nazisti pronti a sterminarti, si
finisce per giustificare i crimini più mostruosi, anche quando si è la parte più potente in un conflitto. Nella logica della sopravvivenza tutto è lecito».

Nel suo saggio, lei ricorda che Hannah Arendt puntò il dito contro i leader ebrei che collaborarono con i nazisti. Zygmunt Bauman criticava le tattiche spregiudicate di Begin e Netanyahu dicendo che realizzavano un trionfo postumo del sogno di Hitler: creare un conflitto tra gli ebrei e il resto del mondo…
«Sì, questo è un punto cruciale.
Pensatori come Arendt e Bauman temevano che la Shoah venisse “privatizzata” da chi la considerava esclusivamente un’espressione dell’antisemitismo. Un evento senza precedenti nella storiadell’umanità veniva ridotto a una questione tra ebrei e persecutori. Arendt aveva una visione più ampia delle origini della Shoah, riconoscendone i legami con le pratiche imperialiste europee in Asia e Africa. Già prima di Arendt, leader anticolonialisti come Nehru e Gandhi definirono nazismo e fascismo come i gemelli dell’imperialismo
occidentale. Il collegamento tra l’imperialismo europeo e la Shoah come culminazione mostruosa di una lunga tradizione di violenza razziale è andato perso nel racconto occidentale, che presenta Israele e gli ebrei come vittime di un’eccezione aberrante della civiltà occidentale, invece che come parte di una storia più complessa e radicata».

Perché il “filosemitismo invadente” – come scrive lei – si è radicato tra estremisti come Le Pen e Orbán, un tempo apertamente antisemiti? Davvero i musulmani sarebbero i nuovi ebrei per i nazionalisti bianchi americani ed europei?
«Non solo i musulmani, ma anche gli immigrati, siano essi musulmani, cristiani o atei. Nelle crisi, gli instabili sistemi politici ed economici dal XIX secolo a oggi necessitano di capri espiatori. Gli ebrei furono degradati a questo ruolo dalla fine del XIX secolo fino alla metà del XX secolo, quando la modernizzazione produsse sofferenze e traumi tra gli sfollati. Oggi questo fardello storico grava su altre minoranze. Non è un fenomeno circoscritto all’Occidente. Gli stessi meccanismi di ricerca del capro espiatorio e spargimento di sangue si verificano in India, Myanmar e Indonesia. Non sorprende che antisemiti ricchi e potenti come Musk e Orbán siano oggi i più strenui difensori di Netanyahu. Ciò che difendono non è il sionismo o Israele, ma la loro stessa pretesa al potere e alla ricchezza: ciò che li accomuna sopra ogni cosa è la determinazione a schiacciare chiunque li sfidi».


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