Dasniel BARENBOIM fondatore della West Eastern Divan Orchestra, è stato direttore musicale dell’Opera di Stato di Berlino e della Scala.
Caro Direttore, gli eventi attuali in Israele e a Gaza hanno profondamente scioccato tutti noi. Non c’è giustificazione alcuna per i barbari atti terroristici di Hamas contro i civili, compresi i bambini e i neonati. Dobbiamo prenderne atto, riconoscerlo, e fermarci. Ma il passo successivo è ovviamente la domanda: e adesso? Ci arrendiamo a questa terribile violenza e lasciamo che la nostra ricerca della pace “muoia” o continuiamo a insistere che ci debba e ci possa essere la pace?
Sono convinto che dobbiamo continuare, e farlo tenendo presente il più ampio contesto del conflitto. I nostri musicisti del West-Eastern Divan, i nostri studenti dell’Accademia Barenboim-Said, sono quasi tutti direttamente coinvolti. Molti dei musicisti vivono nella regione, e anche gli altri hanno molti legami con la propria patria. Questo rafforza la mia convinzione che ci possa essere una sola soluzione a questo conflitto: sulla base dell’umanesimo, della giustizia e dell’eguaglianza e senza forza armata e occupazione.
Il nostro messaggio di pace deve risuonare più forte che mai. Il pericolo più grande è che tutte le persone che desiderano ardentemente la pace vengano annientate dagli estremisti e dalla violenza. Ma qualunque analisi, qualunque equazione morale che possiamo elaborare, deve avere come base questa comprensione fondamentale: ci sono esseri umani da entrambe le parti.
L’umanità è universale e il riconoscimento di questa verità, da entrambe le parti, è l’unica via. La sofferenza di persone innocenti da entrambe le parti è assolutamente insopportabile.
Le immagini dei devastanti attacchi terroristici di Hamas ci spezzano il cuore. E la nostra reazione dimostra chiaramente una cosa: che la volontà di empatizzare con la situazione degli altri è essenziale. Naturalmente, e in particolare in questo momento, bisogna anche consentirci di provare paura, disperazione e rabbia, ma nel momento in cui questo ci porta a negare all’altro la propria umanità, siamo perduti. Ogni singola persona può fare la differenza e trasmettere qualcosa.
È così che si cambiano le cose su piccola scala. Su larga scala, dipende dalla politica.
Dobbiamo offrire altre prospettive a coloro che sono attratti dall’estremismo. Dopotutto, la maggior parte delle persone che si dedicano ad ideologie omicide o estremiste è completamente priva di prospettive, e disperata. L’educazione e l’informazione sono altrettanto essenziali, perché ci sono così tante posizioni basate su un’assoluta disinformazione.
Per ribadire con chiarezza: il conflitto israelo-palestinese non è un conflitto politico tra due Stati per i confini, l’acqua, il petrolio o per altre risorse. È un conflitto profondamente umano tra due popoli che hanno conosciuto la sofferenza e la persecuzione. La persecuzione del popolo ebraico nel corso di 20 secoli è culminata nell’ideologia nazista che ha ucciso sei milioni di ebrei. Il popolo ebraico coltivava un sogno: una terra propria, una patria per tutti gli ebrei nell’attuale Palestina. Ma a questo sogno seguiva un presupposto profondamente problematico, perché fondamentalmente falso: una terra senza popolo per un popolo senza terra. In realtà, la popolazione ebraica in Palestina durante la Prima guerra mondiale era solo il 9%. Il 91% della popolazione non era quindi ebraica, ma palestinese, cresciuta nel corso dei secoli. Il Paese non poteva certo essere definito una “terra senza popolo” e la popolazione palestinese non vedeva alcun motivo per rinunciare alla propria terra. Il conflitto era quindi inevitabile, e dal suo inizio i fronti si sono solo ulteriormente induriti nel corso delle generazioni. Ne sono convinto: gli israeliani avranno sicurezza quando i palestinesi potranno provare speranza, cioè giustizia. Entrambe le parti devono riconoscere i loro nemici come esseri umani, e cercare di entrare in empatia con il loro punto di vista, il loro dolore e la loro sofferenza.
Gli israeliani devono anche accettare che l’occupazione della Palestina è con questo incompatibile. Per la mia comprensione di questo conflitto, che dura da più di 70 anni, l’amicizia con Edward Said è un’esperienza fondamentale.
Abbiamo trovato l’uno nell’altro una controparte in grado di portarci più lontano, di aiutarci a vedere più chiaramente i presunti altri, e a comprenderli meglio. Ci siamo riconosciuti e ritrovati nella nostra comune umanità. Per me, il lavoro comune con il West-Eastern Divan, che trova la sua logica continuazione e forse anche il suo culmine nell’Accademia Barenboim-Said, è probabilmente l’attività più importante della mia vita.
Nella situazione attuale, ci chiediamo naturalmente quale sia il significato del nostro lavoro congiunto nell’orchestra e nell’accademia. Può sembrare poco, ma il solo fatto che musicisti arabi e israeliani condividano il podio a ogni concerto, e facciano musica insieme, per noi ha un valore immenso. (...). Dobbiamo, vogliamo e continueremo a credere che la musica possa portarci più vicini gli uni agli altri, insieme nella nostra umanità.
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