di Iain Chambers (Il Manifesto del 22.11.2024)
Quando fu inventato come categoria linguistica e razziale europea, il termine semita indicava un’identità quasi intercambiabile tra ebreo e arabo. Erano tutti trattati come orientali.
Ora che l’accusa di antisemitismo è divenuta una forma diffusa di violenza politica che censura il nostro linguaggio, potrebbe essere utile suggerire come il sionismo stesso sia in realtà antisemita. In quanto dispositivo coloniale occidentale, il sionismo espone il suo antisemitismo in modo più evidente nell’insistere sulla separazione dalle molteplici culture del suo passato ebraico, comprese le loro varie sistemazioni nell’Islam e nel mondo arabo. Si presenta solo in termini bianchi e occidentali, il che significa storicamente e politicamente per il resto del mondo, coloniale.
Essere ebreo oggi è sempre più limitato dalle richieste aggressive del sionismo e dell’attuale Stato ebraico (che comprende l’appropriazione, seguita dalla cancellazione, della cultura palestinese). Anche l’indagine superficiale del termine rivela che il sionismo non è nato come progetto religioso (anche se oggi può adottare tatticamente questo linguaggio). È un’ideologia occidentale, un progetto politico moderno, profondamente radicato nelle teorie ottocentesche del colonialismo, della razza e della superiorità occidentale, che i suoi fondatori hanno riconosciuto senza esitazione.